“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici.”

Disegno a cura di Camilla Gori (https://www.facebook.com/lacamillaillustrations/)
Abitanti delle steppe ad est e nativi delle rive del lago Berke, i Daichid sono un popolo fiero che deve la sua fama agli scontri in cui si sono cimentati nella storia ed alle conoscenze del combattimento, della caccia e della sopravvivenza.
Tratti culturali caratteristici
I Daichid hanno sviluppato fin dall’inizio della loro storia una cultura fortemente legata al combattimento ed alla sopravvivenza. Gli altri popoli tendono a considerarli barbari e rozzi, e questa prima impressione potrebbe anche essere giustificata visti i loro comportamenti. Ma andando oltre il primo impatto si può scoprire che sono profondi conoscitori dei pericoli che popolano il continente.
Anche se tramandano le loro conoscenze principalmente per via orale, è impressionante vedere come dagli anziani ai bambini tutti siano perfettamente educati alla caccia ed alla sopravvivenza negli ambienti ostili. Chiunque volesse intraprendere una spedizione in territori sconosciuti non avrebbe certo dubbi nell’assoldare un Daichid come propria guida.
Per il passaggio all’età adulta ogni Daichid, maschio o femmina che sia, deve affrontare una tradizionale caccia chiamata Daicha, che viene organizzata ogni anno all’inizio della primavera ed alla fine della quale ognuno deve tornare al campo con un suo trofeo, che resterà simbolo della sua capacità per tutta la vita e dovrà restare visibile sul petto. Alla morte della persona, questo trofeo sarà legato al suo spirito nell’aldilà.
Molto fedeli alla gerarchia militare, il regno è diviso in villaggi e piccole città sparse per tutto il territorio, ognuno con a capo una guida chiamata campione. I campioni stabiliscono liberamente tra loro rapporti di collaborazione o conflitto, ed hanno come unici superiori i campioni di città più grandi delle loro ed infine l’Arconte stesso.
Spesso si ritrovano anche singolarmente per la gestione dei propri villaggi. Sono molto concreti, e quindi le loro necessità sono prettamente legate alla sussistenza di tutti gli abitanti.
Concetto di aldilà
Per il Daichid l’aldilà consiste in una magnifica esplorazione, l’ultima battuta di caccia della loro vita. Sono convinti che lo spirito intraprenda un viaggio, il numero delle vittorie e dei risultati che ha ottenuto in vita definisce il punto di partenza di tale avventura e la sua forza, se è stato uno dei più forti del gruppo, allora il suo spirito ne guiderà altri più deboli dispersi in questa esplorazione.
Il trofeo personale che un Daichid ottiene durante la sua Daicha può essere tramandato ai suoi discendenti in modo che alla loro morte possano riunirsi a lui. Se il defunto non ha parenti sarà l’amico più vicino ad ottenerlo.
Solitamente il corpo viene bruciato, possibilmente assieme a quello della bestia che l’ha ucciso o dell’ultima bestia sconfitta, ma l’importante è il recupero del suo trofeo della Daicha. I restanti trofei dovranno essergli invece lasciati addosso, poiché potrebbero essere eredità lasciate da altri.
Abbigliamento
Il loro vestiario, considerata l’eccellenza nella caccia, si basa principalmente su pellami e pellicce sapientemente lavorati in abiti, cappelli e corazze. Dovendo affrontare le steppe hanno sviluppato diverse tecniche di conciatura e realizzazione di vestiti ed armature adatti ad ogni tipo di temperatura e terreno. Anche queste conoscenze sono ovviamente sempre tramandate di generazione in generazione.
Ovviamente non mancano mai al loro fianco armi ed archi, mentre non gli vedrete mai addosso niente che non sia o utile o un trofeo. Gioielli e bigiotteria sono infatti considerati frivoli e inutili, mentre attrezzi e parti di animali sono per loro un vanto e simbolo di forza.
Il linguaggio
Tavtai: benvenuto
Bayartai: addio
Mangasuud: mostri
Aimkhai: codardi
Kirennà: esclamazione comune
Famiglie e personalità note
Arconte Naràn
Naràn, l’Arconte dei Daichid, istituisce costanti tavoli di guerra con i campioni delle varie città e villaggi. Ha inoltre reso obbligatoria la Daicha, che prima era solo un’usanza che seppur radicata poteva essere in certi casi ignorata.
Agnakhad, le frecce mortali
Gli Agnakhad sono una famiglia di abili guerrieri, cacciatori e conciatori. Le loro capacità sono rinomate in tutto il popolo Daichid sin dai loro primi passi nel mondo di Etherea. Molte delle storie sul loro conto, specialmente tra quelle più antiche, narrano di come il loro intervento abbia posto fine alle carestie di interi villaggi e città che riconoscenti gli hanno portato doni o li hanno eletti a campioni.
Ma la storia più particolare che li riguarda è quella che vorrebbe spiegare la loro affinità con gli animali, che spesso li accompagnano nelle loro attività di caccia.
Si dice infatti che uno dei primogeniti della famiglia, disperso nella steppa e sul punto di morire di stenti, sia stato raggiunto da un gruppo di lupi che hanno provato ad ucciderlo. Con le ultime forze rimaste si dice però che non solo riuscì a respingerli, ma anche a soggiogarli e porsi come loro Alfa impartendogli ordini e comandi che essi rispettarono alla lettera.
Questo ha portato nel corso del tempo a dire che gli Agnakhad siano in grado di parlare con gli animali e che per questo siano loro così affini. Data infine l’abilità nella caccia, è stato naturale per loro apprendere alla perfezione le arti della conciatura, creando in autonomia gli attrezzi necessari che poi utilizzavano per lavorare le loro prede.
Dain, gli sciacalli
La famiglia Dain è la più rinomata per la sua brutalità non solo nei territori Daichid ma anche in tutto il continente. La loro fama di despoti e spietati governatori li precede e non è raro che chi si trovi a dover visitare le loro città sia accompagnato da una pesante scorta armata.
Nei luoghi che li hanno eletti a campioni vige infatti una legge molto stretta anche per le normali tradizioni del loro popolo, che non prevede sgarri o eccezioni. Primo fra tutti gli obblighi vi è assolutamente quello di presentarsi, al proprio arrivo, al capovillaggio che vaglierà la possibilità del visitatore di rimanere o meno nelle sue terre.
Oltre a questa loro nota distintiva, sono conosciuti soprattutto negli altri regni per essere degli affidabili mercenari ed assassini, che in cambio di lauti compensi portano praticamente sempre a termine con successo gli incarichi affidati.
I pochi che hanno avuto la fortuna di sopravvivere ad un incontro con loro, hanno notato che per contraddistinguere il proprio operato essi lasciano sempre un marchio sulle proprie vittime. Marchio che pare venga inciso mentre esse sono ancora in vita, al fine di instillare più possibile il terrore in chiunque oda le loro grida strazianti di dolore.
Leggi e punizione dei reati
La loro struttura sociale si basa su due regole: colui che dimostra di essere il più forte sarà la guida degli altri, colui che si dimostra invece debole e vigliacco sarà annientato. Per questa ragione è ovviamente l’Arconte a godere del pieno rispetto di tutto il popolo, anche se ogni città e villaggio ha una propria figura di riferimento.
Non esistono infine leggi particolari o processi per i criminali, il cui destino è noto essere segnato non appena vengono catturati. Per pura formalità e per rispettare il volere del Concilio degli Arconti, Naràn ha stilato una sola legge scritta: “È la guida della città o del villaggio dove si è svolto il crimine ad avere completo potere di giudizio sul criminale. Il suo giudizio è unico ed insindacabile”.
Il rapporto con gli altri popoli
Dicono dei Bhasaki: “È intelligente non chi legge miriadi di libri ma chi sa leggere dentro alle situazioni di ogni giorno.”
Dicono dei Masnar: “Con l’eliminazione del diritto del più forte si è introdotto il diritto del più furbo.”
Dicono dei Tuasul: “Se loro costruiscono mura, noi le distruggiamo”
Dicono dei Dagda: “Si professano cacciatori; ma nessuno di loro è mai venuto a combattere contro ciò che tenta di attraversare la montagna. La loro codardia va di pari passo con l’altezza delle loro orecchie.”
Dicono dei Kalach: “Codardo chi non si è imposto ed ha avuto la forza di esclamare: questa è la mia terra.”
Dicono dei Taulaga:“Tra noi e loro sarebbe una bella dimostrazione di forza; considerando la loro stazza.”